Intervento di Pippo Molino, compositore, docente al Conservatorio di Milano e direttore del Coro di Comunione e Liberazione, al convegno organizzato dal Coro CET all’interno del seminario corale “Un canto che s’udìa per li sentieri”, Lainate (MI) marzo 2006 .
“Sono contento di essere qui, e la frase che mi è venuta in mente, sentendo parlare prima Mauro Pedrotti e poi Luca Bonavia, è una frase che don Giussani citava spesso negli anni in cui aveva iniziato il movimento di CL (allora GS), quando era insegnante al Berchet, il mio liceo: <Quelli che vivono si incontrano>.
Mi è venuta in mente questa frase, perché stasera vediamo che le cose vere trovano corrispondenza tra di loro.
Ho sempre stimato il lavoro del Coro della SAT. E’ vero che esistono “le categorie”, i diversi generi di musica, come lei ha giustamente citato quando ha parlato di Dionisi (ottimo musicista che ho conosciuto bene), ma è pur vero che le cose vere s’incontrano e si valorizzano tra di loro e mi ha colpito molto che nelle vostre due relazioni, in modo diverso, sia emerso questo. Ed è emerso dalla grande storia del coro della SAT, che potremmo dire il protagonista dell’incontro di oggi, quando lei ci ha spiegato che la caratteristica del vostro coro è quella di essere il più importante portavoce di questa grande tradizione della musica popolare italiana, forse la più importante insieme alla canzone napoletana, ma come tradizione corale certamente la più importante.
La coscienza profonda della tradizione si è sposata in modo intelligente con la musica “colta”, e questo è vero, perché Michelangeli ha fatto delle armonizzazioni, Bettinelli, Dionisi le hanno fatte, dando il loro contributo significativo.
È questo incontro che è interessante. Se un musicista venisse a snaturare una melodia di un canto popolare, immagino che a voi non interesserebbe. E non sarebbe un incontro.
Adesso, in modo telegrafico, dirò qualcosa anch’io della mia storia, per rispondere meglio a quello che Alessandro Ledda mi ha chiesto.
Negli anni della mia formazione ho deciso di fare della musica la mia professione.
Eppure molti di noi qui presenti, interessatissimi di musica, non c’è nessuna necessità che abbiano fatto questa scelta, per poterci capire nel migliore dei modi.
La cosa che mi interessa è il fatto che la mia scelta è avvenuta per una ragione. Cioè ho capito che nella musica passava qualcos’altro. È questo che mi ha colpito subito del modo di far musica, di proporre musica e di cantare nel movimento creato da Don Giussani. Mi sono accorto che la musica aveva dentro qualcos’altro: il significato del vivere! Il significato del vivere può passare attraverso il canto e la musica; lo direi con le parole di Don Giussani: “Il canto è l’espressione più alta del cuore dell’uomo”.
Io mi sono messo a cantare in coro da liceale, poi da universitario, ma poi ben presto mi è toccato dirigerlo io.
Il significato del vivere, che può guidare la nostra vita e che c’entra con le cose più importanti, può passare attraverso il canto, atttraverso una certa modalità del canto. Anche Pedrotti ha raccontato che il Coro della SAT si era messo a cantare in un modo diverso e che si era subito distinto per questo; quindi, parlare di significato, passa anche da una modalità esecutiva, dalla scelta del canto e dell’armonizzazione, una scelta non è uguale un’altra.
Quelli che sono vivi si incontrano, perché hanno qualcosa in comune.
Dicevo allora che, da questo riconoscere che c’era qualcosa di più, sono passato all’esperienza che faccio tutt’ora, che faccio tutti i giorni, di riconoscere e di curare questa modalità, e di lavorare perché questa esperienza, questo qualcosa di più passi attraverso la mia direzione, il mio braccio che dirige – come del resto nella musica che scrivo; passi attraverso la mia voce, attraverso me come mezzo. Cioè diventiamo mezzo di questo significato. Questa è un’esperienza per me molto importante. Perchè è più importante questo che il mio io, che non un’astratta espressione di me. È molto di più.
Tra l’altro nel decidere di fare il musicista, la cosa più importante non è stata tanto la decisione in sé, quanto l’aver creduto alla possibilità di poter far qualcosa di buono. E anche l’aver capito gradualmente qual era quello che avrei potuto fare io: prima pensavo di fare altro, poi ho pensato di fare il critico musicale, infine ho pensato di fare il compositore, si è chiarito gradualmente nel corso del tempo.
Nel mio rapporto con il canto, in particolare con il canto popolare, ho sempre capito che il canto popolare è un aspetto essenziale della musica, perché senza questo aspetto la musica, secondo me, non è completa; in tutta la grande musica, infatti, non manca mai la presenza del popolare.
Addirittura, poi, in quest’ultimo secolo molto difficile per l’arte e per la musica, il canto popolare è un elemento che garantisce alla musica l’autenticità; perché spesso la musica pecca di intellettualismo, di cerebralismo.
Io faccio il compositore, figuratevi se non mi interessa la ricerca; ma se la ricerca è una scusa soltanto per andar dietro a idee che non sono più dentro all’esperienza di tutti i giorni, allora non ci sto più. E il canto popolare, in questo senso, è come una prova di autenticità.
Grazie.”